Nebbia

Nebbia I simboli, le allegorie e i motivi

La nebbia (simbolo)

La nebbia è un simbolo ricorrente nel corso della narrazione e intitola l’opera. Per il narratore, la nebbia è simbolo di un modo di abitare il mondo segnato dalla confusione, dalla mancanza di prospettiva e chiarezza, dal vuoto esistenziale e dal sentimento di angoscia. Lo stesso Augusto riconosce di trovarsi in quello stato, per esempio quando nel Capitolo XII afferma: “Tu dirai che il signorino Augusto è impazzito, vero? Ebbene no, questo no! Ma lo è stato finora, o piuttosto è stato fino ad ora uno stupido, completamente stupido, come sperduto nella nebbia, cieco…” Tuttavia, nonostante il suo apparente risveglio, nei momenti di crisi questa nebbia riappare come uno stato di caos e malessere. Un esempio si trova nel Capitolo XVIII, durante l’incontro tra Augusto e Rosario: “La nebbia invase la mente di Augusto, il sangue cominciò a gonfiargli le tempie, sentì un’oppressione al petto”.

Il seduttore ingannato (motivo)

A seguito dell’incontro con Antolín Paparrigópulos, Augusto desidera fare un esperimento psicologico con Eugenia. Tuttavia, quando la incontra e prova a compiere il suo piano, il carattere opprimente della sua amata lo disarma e finisce per pensare che, in realtà, è lui a essere oggetto di un esperimento. Questa inversione dei ruoli conferma un motivo ricorrente nella letteratura occidentale e di fatto si ripete la stessa situazione quando il protagonista interagisce con Rosario.

L’aquila e la civetta (simbolo)

Innamorato per la prima volta, Augusto è perso nei suoi pensieri e travolto dalla confusione. La sua realtà si apre come una nebbia che gli oscura la visuale e non gli permette di sperimentare il mondo pienamente. In uno dei suoi monologhi, descrive la sua situazione come segue:

“No, no; nebbia! nebbia! Essere aquila per poter penetrare nelle nubi! E vedere il sole attraverso esse, come luce nebulosa! Oh, l’aquila! L’aquila di Patmos, che fissa il sole faccia a faccia e non vede nel buio della notte, quante cose avrà detto quando, fuggendo da San Giovanni, s’incontrò con la civetta di Minerva che vede nell’oscurità della notte, ma non può guardare il sole!”

Augusto sfrutta le figure dell’aquila e della civetta per indicare due modi di vedere il mondo che devono essere complementari, ma non ci riescono: l’aquila simboleggia i sensi, mentre la civetta è simbolo della ragione. Così Augusto ritiene che gli manchi la ragione necessaria a capire la sua realtà e che i suoi sensi da soli siano insufficienti.

Il camminante e il sentiero (allegoria)

In un importante monologo del capitolo VII, Augusto si chiede se il destino dell’essere umano risponda alle leggi del caso o alla volontà personale ed elabora un’allegoria per esprimere il suo dubbio:

“Quando il vento della fortuna ci sospinge, allora tutti i nostri passi sono decisivi. Nostri? Sono nostri quei passi? Camminiamo, Orfeo, per una selva intricata e aspra, senza sentieri. Il sentiero lo tracciamo noi con i nostri piedi camminando alla ventura. Vi è chi crede di seguire una stella; io credo di seguire una stella doppia, fatta di due stelle gemelle. E questa stella non è altro che la proiezione stessa del sentiero nel cielo, la proiezione del caso.”

In questo passaggio la vita è presentata allegoricamente come un sentiero che ogni camminante apre con il proprio cammino. Alcuni seguono una stella (cioè spendono tutte le loro energie per raggiungere un obiettivo, di cui l’astro è un simbolo) mentre il narratore sente che quella stella è, in realtà, una proiezione di ciò che c’è lungo il cammino: un’immagine totalmente casuale che il soggetto non può controllare.

Il telaio della vita (allegoria)

Nell’intento di capire come funziona il mondo, Augusto fa riferimento all’immagine di un ordito che si tesse costantemente per riferirsi alla vita:

“Guarda, Orfeo, le spole; guarda l’ordito, guarda come la trama del tessuto si muove con la navetta, guarda come giocano le varie parti del telaio; però, dimmi, dov’è il subbio a cui si arrotola la tela della nostra esistenza, dov’è?”

In questa rappresentazione allegorica della vita, Augusto si chiede dove stia il subbo, cioè il cilindro di legno che si usa per avvolgere il filato dell’ordito. L’assenza di un fulcro simboleggia l’incapacità di Augusto di comprendere quali siano gli elementi che compongono la sua realtà e come questi si relazionino e intreccino tra loro.