Nebbia

Nebbia L'analisi delle citazioni

Il signor Miguel de Unamuno mi ha rivolto l’esplicito invito di scrivere un prologo a questo suo libro nel quale sono narrate la triste storia del mio caro amico Augusto Pérez e la sua misteriosa morte, e io non posso fare a meno di scriverlo perché i desideri del signor Unamuno sono comandi per me, nel più genuino significato della parola.

Senza esser giunto all’estremo scetticismo amletico del mio povero amico Pérez, che è arrivato persino a dubitare della propria esistenza, sono però fermamente persuaso che mi manca ciò che gli psicologi chiamano libero arbitrio; però, per mia consolazione, credo che neppure Unamuno goda di esso.

Víctor Goti [Prologo, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Così si apre Nebbia, con un prologo scritto da uno dei personaggi, Víctor Goti. In questo frammento si rivela il fatalismo dell’esistenza di Víctor, che non può sottrarsi agli ordini del suo creatore. Tuttavia, il lettore non se ne rende conto, dato che a una prima lettura sembra che Víctor sia semplicemente un amico dello scrittore e non una sua creazione. Víctor si compara al suo amico, Augusto, che dubita costantemente della sua esistenza: sebbene lui non sia tormentato da questo dubbio, riconosce di non avere il libero arbitrio, motivo per cui obbedisce agli ordini di Unamuno e scrive il prologo che lui gli chiede.

L’ultima frase della citazione, in cui Víctor suggerisce che nemmeno Unamuno goda del libero arbitrio, risulta enigmatica per il lettore. Questo passaggio avrà un senso soltanto alla fine dell’opera, quando Augusto e Unamuno discuteranno sulla creazione narrativa e sulla relazione di dipendenza tra il creatore e le sue creazioni: Augusto sosterrà che alla fine gli autori dipendono dalle proprie creazioni ed è questo ciò a cui fa riferimento Víctor in questo passaggio.

«Ma dimmi, Víctor, la vita è un gioco o una distrazione?»

«Il gioco non è altro che distrazione.»

«Allora cosa importa distrarsi in un modo o nell’altro?»

«Perbacco, se si gioca bisogna giocare bene.»

«E perché non giocar male? Perché non possiamo muovere questi pezzi in modo diverso di come li muoviamo?»

«Questa è la tesi, caro Augusto; come tu, quale tu, illustre filosofo, mi hai insegnato.»

– Víctor Goti e Augusto Pérez [Capitolo III, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Qui Augusto si rivolge a Víctor per condividere con lui i suoi problemi d’amore. L’incontro dei due amici sfocia in una chiacchierata filosofica che si rifà al metodo socratico, la maieutica, in cui gli interlocutori confutano le proprie affermazioni attraverso domande. Questo è il modo in cui Unamuno sviluppa le diverse posizioni filosofiche all’interno dell’opera.

«Sogno o sono sveglio?» si chiese intabarrandosi nel lenzuolo. «Sono un’aquila o un uomo? Cosa significherà questo sogno? Quali novità porterà il nuovo giorno? Ci sarà stato un terremoto a Corcubión? E perché non a Lipsia? Oh, l’associazione lirica delle idee, il disordine pindarico! Il mondo è un caleidoscopio. L’uomo introduce la logica. La suprema arte è quella del caso. E allora stiamo qui ancora un po’.» E si girò dall’altra parte.

«Giornali!» L’uomo dell’olio! E poi un carro e dopo un’automobile e ragazzi che passano.«Impossibile!» incominciò Augusto parlando a se stesso.

«È la vita che si sveglia. E con lei l’amore… E che cos’è l’amore? Non è forse la distillazione di tutte queste cose? O è il succo della noia? Pensiamo a Eugenia; l’ora è adatta.»

– Narratore [Capitolo V, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Augusto giace nel letto, vittima dell’insonnia, e inizia a interrogarsi sulla sua esistenza, sospettando per la prima volta della natura immaginaria del suo essere. Con la tecnica del flusso di pensiero, Miguel de Unamuno espone il groviglio di pensieri di Augusto, che si sovrappongono e contraddicono permettendo al lettore di comprendere la confusione in cui il protagonista è sommerso. Così Unamuno riesce a esporre i meccanismi irrazionali che costituiscono la base del pensiero umano.

Spesso mi è accaduto di pensare, Orfeo, di non esistere, e camminavo allora per la strada supponendo che gli altri non mi vedessero. E altre volte ho fantasticato che non mi vedessero come io mi vedevo, e che quando io credevo di muovermi compostamente, stavo, senza saperlo, facendo il pagliaccio mentre gli altri ridevano e si burlavano di me. Non è capitato qualche volta anche a te? Forse no; sei ancora giovane e non hai esperienza della vita.

– Augusto Pérez [Capitolo VII, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

In questo frammento Augusto monologa con il suo cane, Orfeo, che crea la condizione necessaria perché il protagonista possa esprimere i suoi sentimenti a voce alta. Nel suo monologo, Augusto affronta la questione ontologica dal suo punto di vista personale, dubitando della sua stessa esistenza. Questo dubbio nasce dal fatto che sente che le persone per strada lo percepiscono. In questo senso, risulta curioso che la risposta sia effettivamente che lui è un personaggio inventato e che la sua esistenza è intimamente legata alla percezione e osservazione da parte di altri. Allo stesso modo, Augusto sospetta che la gente lo percepisca in modo ridicolo quando lui invece è serio. Questa paura, in definitiva, è una percezione reale perché Unamuno in qualità di scrittore si prende gioco dei suoi personaggi e li espone alle proprie contraddizioni e ai propri pathos per generare un effetto comico.

Si sedette, la riprese sulle ginocchia, la cinse con le braccia e la strinse al petto.

La ragazzina gli mise un braccio intorno al collo, come per appoggiarsi a lui, e nascose nuovamente il viso in seno ad Augusto. Ma come se sentisse il martellare del suo cuore, allarmata gli domandò:

«Sta male, signor Augusto?»

– Narratore [Capitolo XVIII, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Quando Augusto ha un contatto fisico con Rosario, perde il controllo del suo stesso corpo e il suo cuore accelera il battito al punto da preoccupare la giovane. Questa risposta fisica, incontrollata e goffa, è l’esito del risveglio dei suoi istinti sessuali, repressi dalla ragione fino a quel momento. È così che questi incontri risultano di grande importanza perché sono i primi passi di Augusto per sperimentare il mondo dalla prospettiva della sensualità. In questo modo, nei reiterati incontri con Rosario, Augusto si sforza senza successo di contenere i suoi desideri, creando sempre una situazione ridicola e di disagio.

Appena fu in strada, sotto il cielo che lo dominava e fra gente che andava e veniva per i propri affari o per il proprio piacere, non accorgendosi di lui, certo involontariamente, né badandogli, senza dubbio perché non lo conoscevano, sentì che il suo io, quell’io dell’“io sono io”, rimpiccioliva, si faceva sempre più piccolo, si ripiegava nel corpo cercando un angolino in cui rannicchiarsi per non essere visto da nessuno. La strada era un cinematografo, ed egli stesso si sentiva una pellicola, un’ombra, un fantasma. Tuffarsi nella folla umana, perdersi nella massa degli uomini che andavano e venivano senza conoscerlo e senza badare a lui, gli produsse lo stesso effetto di un’immersione nella natura aperta, sotto il cielo aperto a tutti i venti. Soltanto nella solitudine si sentiva lui, soltanto nella solitudine poteva dire a se stesso, forse per convincersene: “io sono io”. Con gli altri, mescolato alla folla affaccendata o distratta, non sentiva se stesso.

– Narratore [Capitolo XIX, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Nel corso del romanzo, Augusto fa lunghe camminate per le strade nei momenti di crisi esistenziale e amorosa. Tuttavia, la moltitudine e la sensazione di passare inosservato agli occhi del resto della gente accentuano il suo malessere e la crisi della sua identità. In questo passaggio, il flusso di persone assorte nelle proprie occupazioni lo inducono a una crisi ontologica in cui arriva a pensare che lui è, cioè esiste, soltanto quando è solo. Inoltre, per Augusto, la passeggiata è come parte di una produzione cinematografica, aspetto che ha molti punti in comune con la sua realtà come personaggio di un libro. In un certo senso percepisce la situazione irreale, finta e artistica del mondo in cui vive.

Aveva avuto la virtù e la forza di resistere a tutte le correnti del sentimentalismo neoromantico e alla moda devastatrice delle questioni cosiddette sociali. Convinto che la questione sociale sia insolubile su questo nostro pianeta perché vi saranno sempre i ricchi, e che non si può sperare nessun altro sollievo all’infuori di quello che nasce dalla carità degli uni e dalla rassegnazione degli altri, egli allontanava il suo spirito dalle dispute che conducono a nulla di utile e si rifugiava nelle purissime regioni dell’arte immacolata, dove non arriva il ciarpame delle passioni e dove l’uomo trova il rifugio consolatore alle disillusioni della vita.

– Narratore [Capitolo XXIII, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

In questo passaggio, Miguel de Unamuno spiega in modo derisorio la relazione del pensatore Paparrigópulos con la tradizione filosofica, sottolineando sobriamente la sua concezione classista mascherata: secondo Paparrigópulos, quando è impossibile il movimento tra classi sociali, il povero e il ricco devono accettare la propria realtà e abituarsi a essa. Inoltre, il narratore, attraverso Antolín, deride tutti coloro che pensano che l’arte sia una questione di ordine superiore, isolata da altre attività umane. In questo senso, tutto il frammento dedicato a don Antolín, ridicolizza il pensiero conservatore degli intellettuali spagnoli della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX attraverso il grottesco, tipo di umorismo che caratterizza Nebbia fin dal principio.

Gentile Augusto,

Quando leggerai queste righe io sarò con Mauricio in viaggio verso il paese dove lui è stato destinato.

Grazie per la tua bontà, alla quale devo anche la possibilità di disporre delle mie rendite che, unite al suo stipendio, ci permetteranno di vivere insieme con una certa tranquillità. Non ti chiedo di perdonarmi perché, dopo quanto è accaduto, credo che ti sarai convinto che io non ti avrei reso felice né tu avresti reso felice me.

Più tardi, quando penserò che sarai stato capace di superare la sorpresa di quanto ho fatto, ti scriverò per spiegarti perché ho preso questa decisione in questo modo. Mauricio voleva che fuggissimo il giorno stesso delle nozze, appena usciti di chiesa, ma il suo piano era troppo complicato e mi è parso, inoltre, una crudeltà inutile. E come dissi già in altre occasioni, credo che rimarremo amici.

La tua amica

– Eugenia Domingo del Arco [Capitolo XXIX, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Questa citazione corrisponde alla lettera che Eugenia invia ad Augusto quando lo abbandona prima del loro matrimonio. In essa, Eugenia dimostra il suo carattere risoluto, diligente e chiaro. Nonostante riconosca di aver agito negativamente e di aver usato Augusto, spiega il suo comportamento ed evita la “crudeltà inutile”. Spera che Augusto possa capirla in futuro e che possano rimanere in buoni rapporti. Eugenia riesce così a risolvere la sua situazione economica e a finire in coppia con l’uomo che ama. Questo modo di affrontare e risolvere i problemi rappresenta la donna moderna che inizia a prendere protagonismo nella società spagnola degli inizi del XX secolo.

E bisogna corrodere. E bisogna confondere.

– Víctor Goti [Capitolo XXX, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Quando Augusto si offende per l’umore con cui Víctor prende la sua tragedia, risponde con queste poche parole che sintetizzano la visione del mondo di Víctor, che a sua volta è quella di Unamuno, e costituisce il progetto spirituale di Nebbia: l’autore vuole confondere, al punto di rendere impossibile la distinzione tra personaggi immaginari e persone reali, e corrodere fino a cancellare i confini tra l’immaginazione e la realtà. In questo modo, Unamuno cerca di generare una forte critica verso la razionalità e sottolinea la soggettività della percezione umana.

E poi parla o latra in modo complicato. Noi ululavamo per imitarlo, imparammo a latrare, ma neppure così siamo riusciti a intenderci. Lo intendiamo soltanto quando anche lui ulula. Quando l’uomo ulula o grida o minaccia lo intendono molto bene gli animali.

– Orfeo [Epilogo, Nebbia, Miguel de Unamuno, Editore, Rizzoli (2008), Milano, trad. di Flaviarosa Rossini]

Questa citazione è tratta dal lungo monologo interiore di Orfeo a seguito della morte del suo padrone. L’epilogo è quasi interamente dedicato ai pensieri del cane e alle sue profonde concezioni filosofiche sull’essere umano e sulla vita, dalla sua indentità cagnesca. Il passaggio parla della fusione che realizza Unamuno tra filosofia e narrativa, contemporaneamente alla rappresentazione di una grande rottura con il realismo letterario del XIX secolo. È così che Nebbia si consolida come un’opera chiava per il successivo sviluppo del romanzo esistenziale e sperimentale del XX secolo.