Nebbia

Nebbia Le metafore e le similitudini

“Qui, in questa povera vita, ci curiamo solamente di servirci di Dio; pretendiamo di aprirlo come un ombrello, perché ci protegga da ogni genere di mali.” (similitudine)

Augusto prende l’ombrello per uscire e nel frattempo riflette sulla bellezza delle cose che ancora non sono state usate. In quel momento, compara la concezione che la gente ha di Dio con un ombrello, come se il primo fosse un mero protettore dai mali esterni. Con questa similitudine, Augusto sottolinea la visione pratica e interessata dei suoi contemporanei oltre al modo di praticare la fede. Per lui, Dio è usato dalle persone per puro interesse personale e senza alcun tipo di dimensione profonda e trascendentale.

“E tutte e due, Augusto ed Eugenia, continuarono a camminare in direzioni opposte, fendendo con le loro anime l’intricata ragnatela spirituale della strada. Infatti la strada è [...] tutta una tela misteriosa che avvolge le anime di coloro che passano.” (metafora)

Il narratore parla della strada come di un’enorme ragnatela formata da fili che non sono altro che le interazioni delle persone: i loro “sguardi di desiderio, d’invidia, di disprezzo, di compassione, d’amore, d’odio, vecchie parole il cui spirito rimane cristallizzato, pensieri, bramosie”. Questi fili sottili sembrano invisibili ma collegano tutti i passanti in molteplici direzioni, formando una trama complessa e infinita che li aggroviglia tutti.

“Il mondo è un caleidoscopio. L’uomo introduce la logica. La suprema arte è quella del caso.” (metafora)

Questa metafora esprime l’idea che Augusto ha del mondo. Per lui, il mondo è complesso, frammentato, e non risponde a nessuna logica, come un caleidoscopio. Tuttavia, l’uomo cerca di capire la realtà attraverso l’intelligenza e dà a essa un senso che originariamente non ha.

“Si ricordava appena di suo padre; era un’ombra mistica che si perdeva in lontananza; era una nube insanguinata al tramonto.” (metafora)

Quando parla della figura paterna di Augusto, il narratore la descrive metaforicamente come un’ombra e una nube. In questo modo allude alla sua natura vaga dato che nella memoria di Augusto è a malapena un ricordo lontano. Inoltre, con “insanguinata” fa riferimento all’unico ricordo certo che ha di suo padre, “perché, quand’era ancora bambino, l’aveva visto in un pallore mortale, bagnato del sangue di un vomito”.

“Paparrigópulos aspirava [...] a far penetrare la lama del suo aratro critico anche soltanto di un centimetro più in profondità di quella degli altri che lo avevano preceduto” (metafora)

Quando il narratore descrive il filosofo Paparrigópulos, mette il suo lavoro in relazione con la coltivazione del frumento attraverso la metafora dell’aratro. Così gli intellettuali vengono dipinti come aratri e lo scopo di Paparrigópulos è arare un po’ più in profondità di coloro che hanno l’obiettivo di raccogliere un frumento migliore: “Per far crescere, grazie a nuovi concimi, più turgide le spighe e più ricca la farina, affinché gli spagnoli si nutrano meglio e a minor prezzo del pane spirituale”. In altre parole, Paparrigópulos vuole ottenere conoscenze nuove e più profonde con cui il popolo spagnolo possa nutrirsi.

In questo senso, la metafora dà ai filosofi il potere e il dovere di nutrire il popolo stabilendo che se un filosofo lavora bene e con impegno, può incidere sul benessere della società cui appartiene. Questa visione del mondo che Unamuno plasma nel personaggio di Paparrigópulos è propria del Rigenerazionismo e delle Generazione del ’98, movimenti a cui l’autore apparteneva.